Normalità o sacrificio?

Capita spesso, parlando con i pazienti, oppure frequentando la palestra, di ascoltare commenti verso persone evidentemente, almeno visivamente, in buono stato fisico. Non atleti nel vero termine della parola, ma persone con una pancetta almeno nei limiti della “buona salute”, e qualche muscolo segnato.

I commenti, forse fatti con una punta di invidia, sono del tipo: “chissà quanti sacrifici farà…sarà sempre a stecchetto…non andrà mai alle feste, aahahh io non farò mai una vita così”, ma il commento top: ” è fortunato perché ha una buona genetica”.

Un pensiero che più o meno tutti noi abbiamo fatto qualche volta.

Ebbene, la domanda che mi viene spontanea fare in questi momenti, sentendomi tirata in causa perché è questo il lavoro che faccio, è:

“Ma cosa fai tu per vivere in salute?” 

Ponetevi anche voi questa domanda…

Qualcuno troverà dei “motivi” che sanno di giustificazione per non fare niente, non dedicando nemmeno cinque minuti al giorno per un’attività faticosa (ovviamente rapportato al soggetto) che potrebbe essere salutare, non scelgono in funzione del proprio benessere, al limite solo quella di cercare di stare attenti alla qualità del cibo che spesso altro non è che l’acquisto di prodotti integrali o bio rispetto a quelli raffinati o della grande distribuzione.

Ma questo è poco, non è sufficiente al raggiungimento di un livello minimo di benessere. Per raggiungere almeno questo minimo, ciò che conta è fare, non importa cosa, non c’è una cosa che fa più di altre, ma fare, avere almeno la percezione, l’idea di far qualcosa di faticoso per iniziare a star bene, che non sia mangiare 20 grammi in meno di pasta o fare quella ricetta vista sui social perché è fit! Queste scelte servono a pulirsi la coscienza perché impegno di tuo non ci metti niente, o poco poco. Un minimo di sacrificio è doveroso, che poi si tratta solo di cambiare determinate cattive abitudini in favore di abitudini più sane. E’ questo il segreto, non la motivazione (necessaria all’inizio sicuramente) o chissà cosa. Se si è capaci di fare nostre le buone abitudini e renderle facili, queste ci aiuteranno anche ad avere molto più tempo perché non perderemo tempo ed energie in altre occupazioni meno salutari.

Alla fine finisce che facciamo solo e soltanto ciò che ci è più comodo. 

Lamentarsi per gli acciacchi, se non si sta bene, se non scende il rotolino,  tanti “se” che ci impediscono di fare! Perché contano le scelte che facciamo, che sicuramente non sono mai facili, contano le nostre priorità, contano i comportamenti, contano le abitudini, conta il fare. I discorsi fini a se stessi,  il “domani comincio” altro non sono che scuse. 

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Picco glicemico

I livelli di glucosio nel sangue (glicemia) non sono costanti, ma seguono un andamento curvilineo, tipo le montagne russe; fasi di picco si alternano ad altre di discesa, dipendenti dai pasti e dalla loro composizione. I valori minimi si raggiungono a digiuno, ad esempio al mattino prima di fare colazione, mentre il picco glicemico è massimo dopo circa un’ora dai pasti, specie se ricchi di zuccheri semplici.

L’andamento dei livelli glicemici dopo un pasto è influenzato dalla quantità e dalla qualità degli alimenti assunti.

Ad esempio, il picco glicemico raggiunto in seguito all’ingestione di un alimento ricco di zuccheri (merendine, fetta di torta, gelato, coca cola, succhi di frutta industriali, pasta o riso in bianco non integrale), insorge molto prima di un pasto bilanciato, in cui i carboidrati complessi (amidi) devono prima essere digeriti, quindi scomposti in glucosio.

I picchi glicemici troppo elevati sono caratteristici del diabete e degli stadi di ridotta tolleranza glucidica che lo precedono.

Come detto all’inizio, quando un pasto è bilanciato, il picco glicemico si raggiunge all’incirca un’ora, un’ora e mezza dopo l’ingestione; per l’adulto tale picco dovrebbe essere inferiore a 180 mg/dl, anche se i valori ottimali si collocano al di sotto dei 140 mg/dl (normale tolleranza al glucosio). 

La glicemia si alza moltissimo e rapidamente quando un pasto è composto principalmente da grossi quantitativi di carboidrati semplici (ad elevato indice glicemico), mentre aumenta con gradualità se i carboidrati sono complessi ed associati a proteine, grassi e fibre. Esempi di alimenti ad alto indice glicemico sono dati da glucosio, miele, pane bianco,, cracker, cereali per la prima colazione e riso brillato. Tra quelli a basso indice glicemico rientrano invece yogurt, piselli, mele, buona parte delle verdure, fagioli, noci, riso parboiled e latte. La fondamentale importanza di evitare il raggiungimento di picchi glicemici troppo elevati – tramite una dieta personalizzata ed un’accurata scelta degli alimenti  – è volta a raggiungere un ottimale rapporto tra glicemia e dimagrimento. 

Anche la cattiva abitudine di spiluccare spesso cioccolatini o caramelle, o di fare merenda con yogurt alla frutta ricchi di zucchero, oppure sorseggiare un bicchiere di bibita gassata crea frequenti picchi dove il nostro pancreas è chiamato ad intervenire producendo insulina.

Questa continua disponibilità di zuccheri in circolo, quindi fonte energetiche per il nostro organismo,  non permette di attivare un ormone chiamato glucagone deputato ad inviare il segnale di smantellare  le riserve adipose ed utilizzarle come substrato energetico. Con l’evidente conseguenza che i nostri rotolini rimarranno dove sono.

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