Senza zucchero o light, quale è la soluzione?

dolcificante

Il consumo significativo di zucchero, ormai lo sappiamo, ha numerose ricadute negative sulla salute (aumento del rischio di obesità, diabete, malattie cardiovascolari, carie e altre patologie), tanto che da decenni, anche l’ OMS raccomanda  una decisa riduzione nella dieta di questo  ingrediente.

L’industria alimentare ha così progressivamente  studiato e immesso nel mercato delle alternative artificiali allo zucchero, gli edulcoranti artificiali. Una lunga serie di sostanze che hanno tutte in comune la capacità di donare dolcezza a qualsivoglia alimento o bevanda a cui vengano aggiunte, senza però apportare calorie (o apportandone solo una quantità risibile per dose) e senza provocare, o quasi, innalzamenti della glicemia. I nomi sono conosciuti: aspartame, sucralosio, saccarina, acesulfame K, ciclamato, neotamo citando i più noti. Oggi la diffusione dei dolcificanti artificiali è immensa: cibi e bevande dolcificate artificialmente vengono consumati ogni giorno da milioni di persone. Il solo aspartame si ritrova in oltre 6.000 prodotti alimentari in tutto il mondo. I consumatori, in breve, hanno decretato il successo su base planetaria degli edulcoranti chimici e dei prodotti alimentari che li contengono al posto dello zucchero, attratti soprattutto dall’idea di non dover rinunciare ad alimenti dal gusto dolce senza temere per la linea.

Purtroppo, evidenze scientifiche – e non da ieri – confermano che i dolcificanti artificiali non costituiscono una strategia efficace all’esigenza del controllo del peso. Ciò che è emerso da una serie crescente di studi epidemiologici e sperimentali, ha acceso il dibattito sulla sicurezza di questi additivi, mettendone in luce i possibili effetti nocivi per la salute, a diversi livelli. Alcune di queste ricerche hanno riscontrato l’esistenza di una relazione tra consumo di dolcificanti chimici e maggiore incidenza di ipertensione, sindrome metabolica, obesità, diabete di tipo 2, eventi cardiovascolari e cancro, riconducibile anche all’impatto non trascurabile che hanno i dolcificanti sul nostro microbiota intestinale.

Proprio recentemente sul legame tra dolcificanti artificiali e cancro  è stato pubblicato uno studio Francese che ha analizzato addirittura i dati di quasi 103.000 persone partecipanti allo studio.

I ricercatori d’oltralpe hanno rilevato che i soggetti abituali al consumo di dolcificanti artificiali, in primo luogo, aspartame e acesulfame K – presentavano rispetto ai non consumatori un rischio maggiore di cancro in generale, con rischi specifici più alti per il cancro al seno e alcuni tipi di tumori collegati all’obesità.

Si tratta, dunque, di conclusioni che chiaramente non supportano l’impiego dei dolcificanti artificiali come alternative sicure per lo zucchero negli alimenti o nelle bevande.

Quale può essere quindi una soluzione? Quella che ormai da anni invito ad adottare: non abusare né con lo zucchero o i suoi surrogati più o meno naturali (miele, fruttosio, sciroppo d’agave, zucchero di canna benché integrale, zucchero di cocco ecc.), né con i dolcificanti artificiali. Ovviamente, senza fanatismi: è la dolcificazione “a prescindere” quella da rifuggire. Un dolce ogni tanto (se fatto in casa magari diminuendo la quantità di zucchero indicata nella ricetta) nell’ambito di un’alimentazione complessivamente sana e di un altrettanto sano stile di vita che preveda anche dell’attività motoria, non fa alcun male, che sia dolcificato con zucchero o con gli edulcoranti di sintesi.

MUOVITI

RESPIRA

MANGIA

I LOVE ZUCCHERO

sugar

Perché amiamo così tanto lo zucchero e il suo sapore dolce?

L’attrazione per il dolce è spiegata da diversi aspetti:

1- tale gusto viene associato ad alimenti con elevato potere energetico e nutritivo;

2- gli zuccheri forniscono energia rapidamente metabolizzabile e utilizzabile, ed il nostro cervello ne è ghiotto;

3- lo zucchero distrae il cervello dai problemi quotidiani, appagandolo istantaneamente anche se per poco tempo;

4- il gusto dolce richiama stati emozionali legati a qualcosa di buono, gratificante e rassicurante, appagante, anche ai ricordi d’infanzia, tanto è, che molto spesso, dietro la voglia di dolce si nasconde un vero e proprio Craving (desiderio), una vera e propria dipendenza da zuccheri;

 5-molto spesso i cibi vengono preferiti proprio in base all’effetto che producono sull’umore. 

La serotonina è il neurotrasmettitore che regola il ritmo del sonno, la sazietà, la sensazione di serenità. La serotonina, viene prodotta dal cervello quando mangiamo alimenti che contengono carboidrati, quindi zuccheri.

Per questo la carenza di serotonina ci rende irrequieti, instabili e ci stimola ad “andare a caccia” di alimenti ricchi di zuccheri! Ma non dimentichiamo che l’assunzione di zuccheri semplici e raffinati ad alto indice glicemico (biscotti, dolci confezionati, pane bianco, tramezzini, pasticcini) infiamma l’organismo e ciò attiva un enzima, l’indoleamina che degrada il triptofano (precursore della serotonina) riducendo la disponibilità di serotonina e, quindi, la sua azione sul cervello sarà minore.

L’effetto finale è dunque un circolo vizioso che spinge alla ricerca continua di zuccheri ma produce depressione, obesità e ulteriore infiammazione.

La dopamina è invece il neurotrasmettitore che stimola la ricerca della gratificazione, in ogni sua forma, per questo è coinvolto in tutti i fenomeni di “dipendenza”. Una sua carenza si verifica spesso nei momenti di stress e ci fa sentire stanchi e demotivati inducendo la ricerca di quelle sostanze che ne attivano il rilascio. I cibi ricchi di grassi, zuccheri e proteine, sono i più ricercati perché contengono fenilalanina e tirosina, due aminoacidi che l’organismo utilizza per produrre dopamina.

Per questo la sua carenza ci porta a consumare il classico junk food, cibo ricco di grassi, carboidrati raffinati, esaltatori del gusto.

Un pasto ben bilanciato, composto da cereali integrali, verdure e proteine sane dovrebbe di per sé già lasciare soddisfatti, ma se ancora abbiamo la sensazione che “manchi qualcosa”, un quadrato di buon cioccolato fondente (almeno con l’80% di cacao) o qualche noce o mandorla ci faranno chiudere soddisfatti il nostro pasto e senza sensi di colpa. 

Mangia 

Muoviti

Respira

AUMENTO DI PESO IN GRAVIDANZA E ACIDI GRASSI POLINSATURI OMEGA-3 E OMEGA-6 

gravidanza

È risaputo che negli adulti l’assunzione in eccesso di grassi polinsaturi omega-6 (ω-6) rispetto ai grassi omega-3 (ω-3) è associata all’eccesso di peso.

Un recente studio prospettico di coorte ha osservato la correlazione tra l’aumento di peso in gravidanza e la concentrazione ematica di tali grassi.

 È stato osservato che i PUFAs (acidi grassi polinsaturi) ω-3, rappresentati dalla concentrazione plasmatica di ALA (acido alfa-linolenico), DHA (acido docosaesaenoico) e dal rapporto EPA/ALA (rapporto acido eicosapentaenoico/acido alfa-linolenico), erano associati negativamente al guadagno di peso durante la gravidanza. Nel frattempo è stato anche osservato che  i PUFAs della categoria ω-6 (ARA e LA, acido arachidonico e acido linoleico) avevano un’associazione diretta nel favorire l’incremento di peso. 

Le donne con il maggior aumento di peso gestazionale erano quelle che presentavano il rapporto ARA/LA più alto (ω-6) e le concentrazioni plasmatiche più basse di ALA, DHA e rapporto EPA/ALA (ω-3).

Risulta dunque evidente la necessità di assumere omega-3 con la dieta.

Dove troviamo gli omega-3?

DHA e EPA si trovano nel pesce, merluzzo, sardine, aringhe, sgombro, salmone e tonno, mentre troviamo il suo precursore ALA in noci, nocciole, semi di lino e nelle verdure.

Dove troviamo gli omega-6?

Nell’olio di germe di grano, nell’olio di girasole, nell’olio di mais, nell’olio di sesamo, di arachidi e nel famigerato olio di palma, nella carne (soprattutto rossa).

https://www.mdpi.com/2072-6643/14/1/128/htm